I modellini auto sono nati come giocattoli per bambini il secolo scorso, poi i bambini sono cresciuti e sono diventati la passione dei padri, e cosi siamo arrivati ad oggi, con un mercato degli automodelli molto diverso dai suoi inizi. I primi erano piuttosto rudimentali, mentre quelli moderni sono quasi identici alle automobili reali, dotati di portiere e cofani apribili e di interni rifiniti con cura maniacale. Il filmato seguente ci mostra come una famosa industria cinese (CMC) produce in maniera artiginale dei modellini altamente particolareggiati tanto da essere identici al modello reale. Tutti gli operai di questa industria sono dei veri medellisti in grado di realizzare opere d'arte dal valore maggiore di quello (comunque alto per noi comuni mortali) che viene deciso dal mercato.

AGLI ALBORI

Fu all’inizio del 1900 che l’industria del modellismo compì i primi passi, inizialmente producendo in legno.Dopo i primi aerei con balsa nel 1920, nel 1936 la Frog lanciò le prime vere e proprie scatole con il kit di montaggio: i noti Frog Penguins, fatti in acetato di cellulosa. Questo materiale aveva una caratteristica per niente gradita ai modellisti: si piegava molto facilmente creando quindi nel corso del montaggio non poche difficoltà. Fu solo dopo la Seconda Guerra Mondiale che fu introdotto un materiale più stabile, il polistirolo o styrene, ma non si diffuse subito capillarmente, soprattutto perché proprio questa sua caratteristica lo rese particolarmente utile a scopi militari e dunque rimase di utilizzo riservato.

Con il finire della guerra fu introdotto l’impiego anche per scopi civili, i primi che se ne servirono nelle riproduzioni in scala degli aerei furono: Lindberg, Renwal e Hawk, mentre per le automobili furono l’Aluminium Model Toys (di Gallogy), con la sua Ford modello 1948, e Gowland & Gowland, con la Maxwell. La brillante idea di Sr. West Gallogy fu quella dei “promos”, modellini per ragazzi fatti di alluminio che riproducevano in scala modelli di automobili in vendita. Essi venivano lanciati contemporaneamente sul mercato e i produttori, in questo caso la Ford, ne approfittavano per utilizzare l’idea come lancio pubblicitario. I primi promos erano completamente già montati ma nel 1958 vennero corredati di alcune parti da inserire che servivano a personalizzare il proprio modellino.

La società di Gallogy, che quando smise di utilizzare l’alluminio per i suoi modellini cambio anche il suo nome in AMT Corporation, scelse per le sue riproduzioni la scala 1:25 che così divenne quella più utilizzata per le automobili, in particolare per i modelli americani. Per quanto riguarda invece la società californiana Gowland & Gowland, essa fu fondata da Jack Gowland e suo figlio, il primo era un inventore di giocattoli il secondo uno studente, inglesi di origine ma convinti che dopo la guerra l’America fosse il posto migliore dove investire in una nuova impresa. La loro compagnia lanciò sul mercato la Maxwell, ispirata alla vettura utilizzata da Jack Benny in alcuni film. Iniziarono con la scala 1:16 ma poi la dimezzarono producendo così, con il marchio Highway Pioneers, i modelli in 1:32 che inizialmente erano già montati ma poi, visto il successo, nel 1951 si trasformarono nelle famose scatole di montaggio, ancora però in acetato di cellulosa (questo principalmente perché esisteva in moltissimi colori e non si era ancora pensato alla soluzione di dipingere direttamente i modellini).

Anche la società che gestiva la commercializzazione dei prodotti di Gowland cambiò nome, da Precision Specialities a Revell, che inizialmente fu distributore unico dei kit e che veniva citato sia sulle scatole che nelle istruzioni. Quasi nello stesso periodo c’era però un’altra compagnia americana, la Hudson, che produsse modelli in plastica in scala 1:32, e che sul finire degli anni cinquanta cedette alcuni dei suoi stampi alla Revell (che così si mescolarono a quelli di Gowland). Inoltre esisteva già in Inghilterra la famosa Airfix che aveva iniziato la sua produzione nel 1939 con bambole e materassi di gomma. Ma dopo con la Seconda Guerra Mondiale, quando vi fu scarsità di gomma, la società fu costretta a ripiegare su altri materiali, soprattutto acetato di cellulosa.

Dal 1948 il gruppo decise di dedicarsi ad altro tipo di produzioni e gli venne chiesto di riprodurre il modellino del nuovo trattore Ferguson in scala 1:20. Inizialmente venne venduto già assemblato ma si passò ben presto al kit e poco dopo nel 1955, fu prodotta anche la prima auto, una Rolls Roycc del 1911 in scala 1:32. Fu poi la volta di altri modellini di auto: la Bentìcy del 1930, la Rolls Roycc del 1905, la Ford Model T del 1910 e infine una Darracq del 1904. Il 1955 fu un anno importante per il modellismo perché coincise anche con i primi promos per Chysler e Pontiac prodotti dalla società americana Jo-Han. Questa azienda, con il nome di Ideai Models, aveva già iniziato nel 1947 con delle produzioni in plastica di modellini di aerei e persino utensili da cucina. Fu nel 1955 che, in seguito alla proposta di collaborazione che ebbe da parte dell’Ideai Toy Company, cambiò il proprio nome in Jo-Han, derivato dalla riduzione del nome e cognome del proprio fondatore John Haenle.

La società Monogram invece iniziò a produrre nel 1946 kit di plastica e legno, il primo completamente in plastica risale al 1954 (il Midget Racer) ma non aveva una scala precisamente indicata sulla confezione, si trattava comunque all’incirca di quella 1:16. Ci furono anche altre aziende che diffusero sul mercato riproduzioni di automobili in kit di plastica, tra cui Best Products, che negli anni ’50 produsse macchine da corsa, l’americana Berkeley e Aurora, che acquistò gli stampi della Best Product e della Advance Molding Company riuscendo così ad avere il controllo del mercato dell'epoca.

COLLEZIONISMO

Il mondo occidentale assistette gradualmente alla crescita del mercato dei giocattoli che piano piano divennero collezionabili. Ogni piccolo oggetto, per quanto apparentemente insignificante e inutile, poteva essere collezionato, inizialmente quindi non esisteva il concetto del montaggio. Le prime collezioni erano di orsacchiotti, bambole, trenini e solo successivamente si passò anche alle auto.

Poi apparve la scatola con il kit da montare e anch’essa divenne collezionabile. Ma la cosa strana è che per essere tale, intorno agli anni ’70, doveva rimanere così, intatta. Nel momento in cui veniva montato il modello esso perdeva il suo valore intrinseco. Naturalmente ben pochi acquistavano un modello per lasciarlo smontato nella scatola, perché così perdeva la sua ragion d’essere e tutto il divertimento. Alcuni modelli rimanevano da assemblare solo perché il collezionista ne aveva comprati più di quelli che effettivamente riusciva a costruire. I prezzi, dal momento che le scatole diventavano oggetti da collezione, iniziavano gradualmente a salire e nacque anche il mercato di seconda mano: molte persone si trovarono in casa, magari in soffitta o in qualche scantinato, dei modellini che avevano pagato pochi soldi e che invece rivendettero per molti.

Sono sempre stati amati di più i kit “vecchio stile” rispetto ai nuovi, perché il loro design era molto particolare e caratteristico rispetto ai modelli prodotti successivamente (che sembrano disegnati tutti uguali da un computer) ma soprattutto perché riproducevano vetture che non saranno più costruite. Le auto nel passato avevano da nazione a nazione un proprio stile caratteristico, anche le multinazionali producevano macchine diverse a seconda del paese in cui le dovevano vendere. Ad esempio le Ford vendute nella versione inglese erano diverse da quelle americane o tedesche. Non sembra quindi aver avuto seguito il proposito dei produttori di trovare un’auto mondiale che avesse possibilità di florido mercato ovunque. In effetti un auto adatta ad alcune campagne potrebbe non essere adatta alle città o a grandi strade di congiunzione e anche se ora le grandi case automobilistiche hanno trovato modelli adattabili a più esigenze, sul piano del modellismo un “auto mondiale” non assume grande interesse quanto modelli più particolari e ricercati. Le aziende produttrici di modellini regolarmente modificavano gli stampi per delle nuove edizioni, soprattutto per stare dietro al modello reale da cui traevano spunto.

Alcuni di essi venivano riproposti o aggiornati, ma nel caso in cui un soggetto non voleva più essere riprodotto lo stampo veniva riadattato per essere utilizzato in altri kit, in questo modo si riusciva ad ammortizzare i costi. La prima azienda che si accorse della possibilità di un mercato del collezionismo fu la Revell negli anni ottanta: lanciò infatti sul mercato nel 1982 e 1983 le due serie degli History Makers che riproducevano modelli fino agli anni ’50.

I collezionisti grazie a queste serie ebbero la possibilità di avere dei kit che prima avevano visto solo nei cataloghi. Le scatole non riproducevano quelle originali e ci furono dei modelli come la Porsche Carrera da competizione e la Corvette 1960 che non furono mai realizzate nonostante il proposito e la pubblicità fatta sui cataloghi. Subito dopo la Revell vi fu la Monogram, che a quell’epoca era società a sé, a lanciare un proprio range dal titolo di “Heritage Edition”, ma non si trattava di automobili. Solo negli anni novanta l’azienda mise in vendita una serie che riproduceva vecchi kit di auto con tanto di scatole simili alle originali. Si tratta del Selected Subjects Program (SSP), che però creò non pochi problemi ai collezionisti.

Infatti le scatole avevano data, copyright, istruzioni e forma della prima edizione quindi quelli che avevano davvero una prima edizione originale videro di molto svalutato il suo prezzo e inoltre molti confusero gli originali con le riproduzioni (davvero ben fatte). In realtà modi per distinguere i due kit esistevano: il primo era nel decals dove comparivano scritte differenti, poi nelle diverse profondità delle scatole dove si confezionavano i kit e inoltre si poteva notare anche qualche differenza di stampa. Dopo che si creò questo fenomeno l’azienda iniziò a imporre sulle scatole nuova data e copyright, in modo da poter distinguere facilmente le copie dagli originali. Comunque il Selected Subjects Program ebbe molto successo a tal punto che si ebbero in catalogo ben 48 kit differenti, ma non solo di automobili. Molto diverso era il confezionamento dei vecchi kit da quello odierno, cosa che rende facilmente visibile a tutti la differenza tra i due. Attualmente i kit si trovano in scatole che possono essere facilmente appiattite e trasportate, mentre i kit della Aurora, Revell, Monogami e Lindberg erano confezionati in scatole rigide su cui veniva incollata la boxart stampata su stampa lucida.

EVOLUZIONE

Durante il secolo scorso i modellini prodotti hanno avuto una lenta evoluzione, sia per quanto riguarda la diffusione che la qualità. La materia prima di cui sono composti è sempre la plastica, che ricordo essere un derivato del petrolio, e fu proprio per questo che dopo una buona presa negli anni cinquanta e sessanta vi fu poi, nel decennio successivo, uno stop causato dalla crisi di questo combustibile fossile. Le conseguenze della crisi ebbero la loro ripercussione anche sulle ditte produttrici di modellini, la maggior parte di queste infatti chiusero, mentre le più fortunate furono inglobate in grandi gruppi già forti sul mercato nel settore dei giocattoli.

Dopo una seppur lieve ripresa, o se preferite stabilizzazione, negli anni ottanta, in questi due ultimi decenni lo scenario si sta abbastanza modificando. Complice del nuovo panorama è senz’altro la comparsa sulle scene del computer, che se da una parte ha dato nuove prospettive anche al modellismo dall’altra gli ha sottratto l’attenzione di molti potenziali fan che hanno preferito invece appassionarsi a giochi per Pc o alle nuove prospettive aperte dalla navigazione Internet. I produttori di modellini hanno però saputo cogliere la palla al balzo per proporre Cd-Rom con le istruzioni per le costruzioni o siti internet con consigli, forum e quant’altro per i modellisti, che a loro volta posso creare un proprio sito web e condividere trucchi e segreti del loro hobby.

Dunque, nonostante qualcuno avrebbe scommesso che una maggiore diffusione dei computer avrebbe portato il modellismo a scomparire, questo non è accaduto. Certamente il merito va a tutti gli appassionati che hanno continuato a preferire la costruzione paziente di questi modellini piuttosto che il più dinamico e veloce mondo proposto dal computer. Parlando in particolare del modellismo automobilistico, questo ebbe una notevole spinta intorno agli anni ‘50 quando fu introdotto, per essere utilizzato nei kit, il polistirolo (chiamato anche polystyrene e per abbreviazione styrene) e immediatamente entrarono nell’uso comune le scale, che riproducevano i modelli ad una grandezza stabilita. Ad esempio in America si diffusero e vennero utilizzate delle scale molto grandi, come quella di 1:24/25 (ciò significa che il modello è ventiquattro/venticinque volte più piccolo dell’originale).

Nacquero poi anche dei modellini auto già costruiti, conosciuti come “die cast”, che si diffusero in tutto il mondo anche più dei corrispettivi modelli da costruire. In un primo momento erano prodotti di grandezze adattabili alle scatole in cui dovevano essere inseriti e in seguito presero invece la caratteristica scala di 1:43. Il materiale di composizione era soprattutto resina o metallo bianco al contrario dei kit che, come già detto, erano principalmente in styrene. Inoltre anche i soggetti erano differenti, i modelli di vetture americane erano in kit principalmente in scala 1:32 o scale superiori, mentre quelli in 1:43 non rappresentavano mai mezzi americani.

Questa differenza di scale, modelli e tecniche fece si che si crearono delle opposte fazioni anche tra i modellisti, ancora oggi ne rimane traccia: anche se vi è stato un rimescolamento di materiali, modelli e scale, ci sono appassionati dell’uno o dell’altro tipo di kit. Sono dunque nati modelli 1:43 in plastica come quelli di Monogram e Amt e poi di Heller o 1:48 prodotti da Renwal, per quanto riguarda invece la scala 1:25, e le maggiori, vengono usati, ad esempio per gli accessori, anche metallo bianco e resina.

Naturalmente tolta la scala, che poi è soprattutto un problema di gusto, tutto il resto in fase di costruzione è uguale, sia il montaggio che la colorazione, l’utilizzo dei diversi accessori e tutto il resto, comprese le tecniche che permettono di creare l’effetto di pneumatici consumati. Il modellismo è un hobby di pazienza e precisione, dunque poco pericoloso, ma esige comunque come molti altri, delle piccole attenzioni, ad esempio quando si utilizzano oggetti affilati o sostanze che potrebbero essere tossiche come colori, colle, ecc. Il consiglio è quello di leggere sempre bene le istruzioni e tenere tutto il vostro kit, con i relativi accessori, lontano dalla portata dei bambini.